L’avanzata della Sharing Economy: cos’è e come sta cambiando il mondo

L’avanzata della Sharing Economy: cos’è e come sta cambiando il mondo

Dilagano i servizi innovativi basati su piattaforme digitali che mettono in contatto diretto domanda e offerta. Alcuni esempi: Airbnb, Uber o Blablacar.

Sharing economy o consumo collaborativo, indica un modello economico basato sulla condivisione fra singoli individui di risorse (una stanza, un’auto, un macchinario…), in modo che siano disponibili a chiunque a prezzi contenuti. Non c’è possesso, dunque, ma uso, e non c’è acquisto di un bene, ma il pagamento di un servizio a consumo.

Esempi di business della Sharing Economy
Ecco alcuni esempi di aziende che hanno applicato questo modello di business con maggior successo negli ultimi anni:

Airbnb

La società è nata nel 2008 su un’idea originale, quella di affittare online un materassino gonfiabile in un momento in cui a San Francisco non si trovava un solo posto letto libero. Da allora è cresciuta incredibilmente in fretta in tutto il mondo. Oggi permette a chi li possiede di affittare una stanza della propria casa o l’intero appartamento, come alternativa a un albergo: basta pubblicare l’annuncio corredato di foto sul sito e indicare le proprie preferenze. Ora l’offerta si è estesa a una pletora di servizi di interesse per chi viaggia.

Uber

Si tratta di un servizio di taxi (ridesharing) che utilizza le auto private guidate dal loro proprietario. Un’app consente agli utenti di richiedere l’auto e di pagare la corsa. È nata nel 2009 a San Francisco e oggi è presente in tutto il mondo e ha numerosi concorrenti (Lyft il più noto).

Blablacar

Esempio perfetto di Sharing Economy, Blablacar è una società francese che consente a chi viaggia in macchina da una località a un’altra di offrire passaggi a pagamento per riempire i posti inutilizzati, come alternativa a treni, bus o aerei. L’autista inserisce sul sito orario e luogo di partenza e di destinazione e i posti disponibili nell’auto, che possono essere riservati online.

Diversi, ma altrettanto di successo, sono i servizi di Car sharing come Enjoy di Eni o Car2Go di Daimler, o il bike sharing, molto diffusi nelle grandi città e più simili a un noleggio tradizionale: le auto e le bici sono infatti di proprietà di un’azienda.

Sharing Economy e Economia digitale: Servizi nati grazie alle piattaforme digitali

Va detto che la condivisione delle risorse è un qualcosa che esiste da sempre. Il fenomeno veramente nuovo è lo sviluppo di piattaforme digitali, una sorta di piazza di scambio online in cui la domanda e l’offerta si confrontano direttamente tra loro, con i gestori che fungono da intermediari. Airbnb come Blablacar si occupa cioè di gestire le transazioni attraverso un sofisticato software (sono fondamentali le recensioni, perché tutto si basa sulla fiducia fra le persone), oltre che della promozione del business, e fa profitti applicando una commissione sulle transazioni.

È stato dunque lo sviluppo della tecnologia a renderne possibile la grandissima crescita: senza Internet e smartphone Airbnb sarebbe ancora una normale agenzia immobiliare e gli Uber e le altre ridesharing company non sarebbero nemmeno nate.

Inoltre, il fatto di non dover investire grandi cifre ha permesso a queste aziende di crescere in fretta. E facendo leva sulle piattaforme digitali e i social network, riducono sforzi e investimenti in marketing e commercializzazione rispetto a chi vende prodotti o servizi tradizionali, e si diffondono molto più rapidamente.

I vantaggi per l’ambiente e per le persone

L’idea di sharing economy gode di consensi molto ampi, e non solo da parte dei suoi sempre più numerosi fruitori. Piace agli ambientalisti, perché la condivisione riduce il consumo delle risorse non rinnovabili e l’inquinamento. Si stima ad esempio che, con il car sharing, per ogni auto condivisa 15 sono eliminate dalla catena di produzione. Piace anche a chi non ama l’idea di proprietà, o considera le piattaforme digitali come uno strumento in grado di favorire l’inclusione sociale.

Aspetti legali e fiscali della Sharing Economy 

Come tassare gli affitti di Airbnb? E come equiparare i guidatori di Uber e i tassisti provvisti di licenza? Sono domande che ancora non trovano risposta o la trovano solo in parte. In Italia come nel resto del mondo si sta cercando affannosamente di dare un quadro normativo per gli attori della sharing economy, che nel frattempo avanza a tambur battente.

Se inizialmente, infatti, l’economia della condivisone godeva di un’immagine fortemente positiva, oggi, che le startup di 10 anni fa sono diventate multinazionali che valgono miliardi e piacciono molto al mondo della finanza, si sta sbiadendo quell’immagine democratica che ne aveva accompagnato la nascita e agevolato il decollo.

Siamo dunque di fronte a nuove forme di business, che stanno suscitando le reazioni delle categorie (i tassisti piuttosto che gli albergatori che si vedono minacciati nella stessa esistenza), gli interessi dei Governi alla ricerca di profitti da tassare – in Italia si parla di una cedolare secca trattenuta direttamente di Airbnb per gli affitti, anche se non facile applicazione – e le proteste di chi ci lavora (una class-action è stata intentata in California da un numero elevato di autisti di Uber per farsi riconoscere i diritti del loro lavoro).

Un quadro complesso, che richiede nuove leggi da parte dei Governi, e non interventi delle magistrature, come sta già accadendo nel nostro Paese: è di pochi giorni fa la sentenza del Tribunale di Roma per bloccare Uber, accusata di concorrenza sleale.